Primo giorno di scuola, anzi di asilo in paese e dintorni. E’ un evento, quest’ultimo, che richiama alla memoria ricordi, emozioni e sentimenti, difficili da cancellare, perché rappresentano i primi passi che uno fa, allontanandosi per la prima volta dal protetto rifugio di famiglia: mamma, papà e il resto della famiglia. Spesso ci si va non convinti e spediti, ma con una certa titubanza, come quando si affronta un luogo sconosciuto o buio.
Lo si fa con talune connaturate sensazioni non dissimili da quelle degli uccellini appena piumati e pronti a spiccare il primo volo. Sono piu’ o meno questi i sentimenti che prova uno come me nel ricordare il primo giorno di asilo di oltre ottanta anni fa e di riflesso immagina quelli stessi che il suo nipotino, Antonio, dovra’ incontrare e superare di li a poco tempo. Di quel giorno – egli racconta – non ricordo piu’ la data e l’anno preciso, tranne l’ora, ovviamente alle 7,30, ossia un’ora prima dell’ingresso. Mia madre mi sveglia, strattonandomi leggermente e dicendomi con un filo di voce, addolorata com’e’pure lei dall’evento: “su Tonino, alzati e’ tempo che ti prepari per l’asilo”.
Mi prende e mi pone a terra e in quattro e quattr’otto mi fa indossare gli abiti di festa con scarpe e calze tirate su fno alle ginocchia. Quindi, mi sottopone al lavaggio del viso nella bacinella. Quella stessa che, sorretta dal suo caratteristico supporto in tubo di ferro realizzato dal fabbro, è presente in ogni abitazione e solitamente sistemata all’ angolo di ingresso.
Lo e’ parimenti nella mia unica stanza ubicata al secondo piano. Una strada, quest’ultima, acciottolata alla meglio, similmente alle tante ed altre affollate del centro storico. Il locale in parola sembra grande, non tanto per la povertà dei suoi mobili ed arredi, quanto per il numero esiguo dei suoi occupanti: io e mia madre.
Papa’, infatti, da qualche anno è impegnato in guerra a Rodi Egeo, richiamato alla pari delle altre classi d’età e bisogno alla II Guerra Mondiale. Tutto ciò accade, a quanto da me appreso, pochi giorni dopo la forzata ‘fuggitina‘ nella casa materna, l’affrettato matrimonio riparatore e il mio concepimento. Ben lavato e sistemato, mamma Nunzia, mi fa indossare per ultimo il grembiulino a quadretti sovrastato dall’usuale bavaglino bianco con i disegnini agli estremi ricamati a punto al giorno.
Presa la custodia con dentro un pezzo di pane duro e il bicchiere d’alluminio, ci avviamo a destinazione. In quella giornata splendida e illuminata dal sole, si avverte in giro solo il vocio della moltitudine dei bambini che fanno il nostro stesso percorso. Superata la via dello scalone in pietra e compiuto l’ultimo pezzo della ‘via processionale’ sbuchiamo in Largo Palazzo, a quell’ora già stracolmo di gente come noi. Sotto la Torre, a piano terra, c’è la nostra meta. Mia madre mi accompagna sino all’uscio, accolto con garbo e empatia dalle Suore Immacolatine.
Durante i primi anni del Dopoguera e poi di tutti gli altri a seguire sono loro a gestire la questione educativa dell’infanzia piu’estrema. Un arrivo alla meta tutto regolare e senza i dovuti patemi del ‘primo giorno‘. Mia madre mi lascia soddisfatta e tranquilla e ritorna a casa. Faccio subito amicizia con i nuovi arrivati che mi piacciono.
Tutto questo non accadde, come si può pensare, per puro caso, ma è frutto delle tante prove compiute nelle settimane e giorni precedenti. Sono ospite privilegiato nell’abitazione delle suore. E questo in segno di amicizia di mia zia Maria, giovanissima frequentatrice ed aiutante di esse. Non a caso anni dopo diventerà suora e poi maestra d’asilo anch’essa presso la medesima Congregazione religiosa.
Lo stabile delle suore, in contiguità con la torre circolare, occupa tutta l’ala Nord del complesso. Qui, seguo tutte le lezioni teoriche e pratiche, comprese quelle relative al corpo. Niente pannolini di stoffa. Imparo a fare i bisogni da solo nell’apposito vasetto di latta, favorito in questo dai pantaloncini corti con la loro doppia apertura.
Anzi, quando riesco a fare agevolmente la dura, oltre a pulirmi, la suora di turno non manca mai di complimentarsi con il suo entusiasta e ripetuto “bravo”. Ovviamente le lezioni teoriche hanno come tema il catechismo., Imparo da subito non solo il minimo, come il “Padre Nostro, l’Ave Maria” e il Gloria, ma anche il resto delle rimanenti preghiere collettive. Nel gruppo, quella che mi vuole proprio bene si chiama Suor Gioconda ed è tale di nome e di fatto. Mi fanno mangiare con loro in refettorio. A dormire occupo la poltrona-letto del Salone di ingresso. Qui, come mi mettono a giacere, forse per l’estrema comodità di essa, mi trovo immediatamente addormentato e del tutto immerso e sommerso dai sogni fantasiosi dell’età infantile. Una sola notte tardo a farlo.
Sta in questo il mio ancora lucido e pregnante ricordo Quella sera, dopo essere stato messo sotto le coltre dalla suora di turno, viene a rimboccarmi i bordi del lenzuolo Suor Gioconda. Poi, dopo avermi scoccato un bacio vola via. La stessa dorme assieme alle altre cinque nella stanza contigua. Ma io non lo so. Ed è lì che si materializza la novità maggiore, quella che mi segna per tutta la vita. Mi accorgo da subito che non provo sonno, nonostante la mia fantasia voli a cento a l’ora. Poi, senza alcun avviso arriva di colpo. Pertanto, la mattina seguente mi sveglio assai presto. Forse alle cinque. A rendermelo noto è l’orologio a campana che fa sentire i suoi rintocchi contati. Non sapendo che fare, mi alzo, dirigendomi verso la stanza a fianco, il dormitorio delle religiose. Costoro, seppure già sveglie sono impegnate a recitare in modo silenzioso le loro preghiere del mattino. Scende dal letto per prima suor Giacinta. Grande è la mia sorpresa nel vederla vestita tutta di bianco, abituato come sono alle loro vesti nere e al cappellone. Ammutolisco. La seguono tutte le altre, manifestando il loro vistoso stupore. Anzi, per non spaventarmi psicologicamente, da subito mi fanno moine, anche sperticate: “Dai , Tonino, non temere siamo noi e ti vogliamo tanto bene”.
Annichilito tra me e me dico : sono vestite di bianco… di bianco… e mi rigiro verso la porta per proseguire la mia via di fuga. Ma mi sento afferrato di dietro. E’ Suor Gioconda che mi stringe a sé, coccolandomi e, accompagnandomi al divano letto, mi dice: smettila: vieni qui, ora ti do le caramelle!
Dopo questa accurata e preventiva preparazione rientro al salone del primo piano. Vi starò sino alla fine, ossia dopo i tre anni, per passare poi alle Elementari presso il dirimpettaio Edificio Scolastico di stile impero, fatto costruire dal regime e inaugurato nl 1939. .Successivamente la mia esperienza di alunno di asilo a favore dei miei successori continuerà qui per molti anni ancora, anche perché il complesso è dotato di normali servizi igienici, grazie al suo collegamento ad un grande e capace pozzo nero interrato nel contiguo orto-giardino e collegato al Palazzo con una. vistosa ‘cabina‘ in pietra. Struttura che ad un certo punto sarà abbattuta senza un perché.
Forse è questo il motivo essenziale che spingerà le Suore dopo alcuni anni a chiudere i battenti dell’asilo e a costringerle a lasciare per sempre il paese, sino allora non ancora dotato di servizi pubblici idrico – fognanti ad eccezione, come si è visto dei Palazzi signorili. Questi prenderanno corpo solo negli anni successivi. Guardando il coperchio in ghisa di uno dei pozzetti di ispezione leggiamo: ditta Putignano 1947. Gli stessi all’inizio ossia prima dei collegamenti alle abitazioni furono utilizzati anche per buttarvi l’immondizia casalinga.
L’ispirazione – ricordo, come accennato, mi e’ venuta nel sapere che il mio omonimo e bellissimo nipote (due anni e sette mesi) tra qualche giorno comincerà il percorso scolastico.
N.B. La foto è stata scattata nel 1945.
Giornalista, scrittore e storico. Ha al suo attivo una cinquantina di pubblicazioni su tradizione, archeologia e storia locale.