“Ninètta culavrètte, va lu zite e ce la nnètte!” (Ninetta zozzona, va il fidanzato e la pulisce!) ed ancora, “Sérafine, quante si fine”! ecc.. Erano alcuni dei tanti motti e modi di dire per prendere in giro una ragazza, declinando il suo nome.
Tanto vale anche per i maschi e sui tanti altri nomi. Talvolta, te lo portavi addosso per tutta la vita, anche quando non eri più una ragazzina. E’ quanto accadde una domenica di tanti anni fa nel corso principale del paese, per l’occasione affollato dal bel sesso di ritorno dalla Santa Messa festiva. Era l’occasione per i giovani di “far domanda” (così si diceva quando volevi fidanzarti con qualcuna, con o senza una letterina di accompagnamento o previo l’amica più stretta della prescelta). Non solo, ma era l’unico momento della giornata per incontrare l’innamorata; il resto funzionava tramite appuntamento di solito presso qualche casa amica o , di sera, con il pretesto di “fatti mandare dalla mamma…” in luoghi appartati o disabitati, dove non ci passava neppure un cane (Arco della Monica, la Strettola, Bisacciare, La Ripa, Varrèdde, ecc.). Questa volta, il motto di cui sopra era stato lanciato dal ragazzo, per ricordare alla sua fidanzata Vittoria, che era in compagnia, appunto della “Ninetta”, l’appuntamento in precedenza fissato. Per cui l’interessata, civettuola ed allegra, non si sa se lusingata o meno dall’apprezzamento diretto alla sua amica, non se la prese e tirò dritta per la sua strada, seguita prima con la coda dell’occhio e poi fisicamente dal suo uomo. Ad un certo punto Vittoria, salutata l’amica Ninetta, raggiunse in pochi minuti, la casa dell’appuntamento. Ad accoglierla c’era Nina, giovane anche lei, ma maggiore di pochi anni, che, dopo averla abbracciata, le indicò il luogo del “parlatorio”, ubicato dietro l’armadio ad una luce (un solo specchio ed anta); lo stesso era affiancato da un letto matrimoniale bene acconciato, quasi che nessuno l’avesse mai usato. Quel giorno, la mamma della ospitante non c’era, avendo seguito il marito nella campagna sottostante. Lo aveva fatto per spigolare un po’ di grano. A quei tempi la miseria era estrema, e tutti si arrangiavano, come potevano, per garantirsi un pezzo di pane e mantenere la figlia agli studi, come in questo caso (Nina frequentava la IV classe ginnasiale). Subito dopo arrivò anche il giovane che, invitato, raggiunse in un attimo il luogo dove era seduta la fidanzata, prendendo posto di fronte. La padrona di casa, da poco, si era allontanata, salendo sopra in soffitta, adducendo a pretesto i suoi molteplici lavori domestici. Chiaramente era una scusa per lasciare soli i due innamorati. Questi ultimi, intanto, tenendosi stretti per mano, avevano cominciato a parlarsi, raccontando i loro sogni , intervallati da frasi e fatti apparentemente banali, ma intensi di sentimento e calore. Il tempo volava, ma essi non si stancavano mai di parlare e di smettere di guardarsi fissi negli occhi. Ad un certo punto, lei avvicinò il suo viso rosso acceso ad un palmo da lui, che per poco non lo ‘scansò’, forse sorpreso dall’iniziativa femminile e nel contempo dall’innato senso di rispetto per la donna che per le comunità di quel tempo (quasi tutte patriarcali e matriarcali) era sacrosanto e praticato. Ma l’investito si riprese subito e l’ “addentò” anche lui, per modo di dire, posando le sue labbra su quelle di lei. E per alcuni minuti le stesse rimasero appiccicate, anzi incollate, mentre i loro corpi stretti fremevano a più non posso posseduti da uno strano e piacevole desiderio. A questo punto, i discorsi cessarono e le uniche parole sussurrate erano “Ti amo e ti voglio…Starò sempre con te sino all’eternità”. Sarebbero ritornati a baciarsi, se non che furono interrotti dalla voce di Nina che pensò bene di ridiscendere, sospinta dal timore che qualcuno si affacciarsi alla porta a vetri (di solito sempre aperta), se non addirittura la mamma di lei, che abitava nei paraggi. Così si consumò il primo incontro d’amore tra Vittoria e il suo innamorato. Un amore suggellato dal primo bacio. Si erano conosciuti qualche settimana prima nel predetto corso principale. Lui le “fece domanda” (così si faceva allora) per conto di un amico stretto. Lei rispose di sì, non all’amico in parola, ma allo stesso latore. Non si sa se per frainteso o per libera scelta. E così che nacque questa storia d’amore che durò più di un anno, sino a quando lei, completate le medie, fu costretta a seguire i genitori al Nord. Gli anni passarono. Lei mise su famiglia. Qualche anno dopo ne ripeté l’esempio anche lui, ma il ricordo di questo “primo bacio” come testé raccontato per entrambi restò incancellabile nella loro memoria e lo sarà per sempre fino alla fine dei loro giorni. Ovviamente il protagonista di siffatta storia era lui, Ottavio. Una sera, venne a chiamarlo a casa Tonino “Accattaiove” (compra-uova), uno dei tanti suoi allievi. Li chiamava così, gli appartenenti al suo gruppo, perché erano di età inferiore alla sua. Dal canto loro, essi lo chiamavano maestro. Ottavio si affacciò all’uscio e lo fece entrare. Con sottesa ironia, egli disse “ Vieni a farmi a farmi compagnia! Devo parlare con Rosa, a casa sua sul Belvedere Est. Ci verrà anche l’amica di lei “Tetella. Forse ci intratterremo a ballare – continuò – . Non mi farai da piantone, concluse con i suoi occhi furbeschi e l’eterno sorriso canzonatorio”. “Dammi tempo di cambiarmi di abito e sono subito da te!”. E così fu. Dopo un quarto d’ora, arrivarono a destinazione. Le due donne li accolsero con gioia, sbarrando immediatamente porta e vetrina. Col nome di ‘vetrina’ veniva indicata correntemente l’avanti porta in vetro con la quale erano dotate le abitazioni a piano terra, solitamente composta da una o due stanzette, compreso il ripostiglio e il mini-gabinetto. Quest’ultima dotazione entrò in uso a partire dai primi anni ’50 dopo la realizzazione della prima rete fognaria. Il giradischi era già in funzione con Aurelio Fierro e la sua Lazzarella ad alto volume. Si tratta di una canzone napoletana assai ben digerita a quei tempi dalle ragazze del popolo. Capirono subito che dovevano mettere un 45 o un 78 giri più impegnativo e scelsero la classica Cumparsita, che ballarono più volte. Ottavio si accorse subito che Tetella ci stava. E questo perché, oltre a gradire la stretta, annuiva con piacere alle parole che il giovane le sussurrava all’orecchio. Seguì un foxtrot che eseguirono semi-sciolto con maestria. Altro tango ancora e poi uno slow, I Love You, che agli invitati piaceva assai di più, essendo abituati alla musica americana. Fu durante questo approccio, che Ottavio fissò l’appuntamento con questa nuova fiamma, la sera successiva presso l’Arco della Monaca, Meno male! A distogliere le due coppie dal ménage ‘ballatorio’ ci pensò la mamma della sua partner. Infatti, ad un tratto sentirono bussare alla porta. Immediatamente i due cavalieri staccarono e volarono a nascondersi nello sgabuzzino indicatoli preventivamente dalla padrona di casa che provvidero subito a rinchiudere come si deve, stringendosi dentro come sardine. La ‘scocciatrice’, che aveva un vistoso bernoccolo vicino all’occhiaia sinistra, salutata la Rosa, cominciò subito con la sua critica a tutto spiano contro il prossimo, soprattutto se vicino di casa. Lo sparlare riguardava ogni settore, dalla cucina allo sperpero, dai debiti alle truffe, sino ad addentrarsi sulle varie congiure amorose o corna che dir si voglia. Qui dimostrava di essere una vera e propria maestra. Bastava un nonnulla per creare una vera ed edificante storia. A crederci per prima era lei stessa. Come dire che i primi ad essere convinti delle loro bugie sono proprio i bugiardi. Mentre lei parlava, i due giovani trattenevano persino il respiro. Le loro gambe piegate o meglio attorcigliate cominciavano a reclamare. Che dire della voglia di tossire, che cercavano di reprimere, spingendo il grattamento sino in fondo. Al suo amico Tonino scappò persino una banale ’arietta’, quelle che fanno alleggerire persino i morti. A questo punto furono sopraffatti dalla paura di essere sorpresi da un momento all’altro. Niente! La madre “chiacchierona” continuava come se niente fosse e loro a soffrire le pene di Giobbe. Finalmente tacque. Rivolgendosi alla figlia, disse: << Prendi le tue cose e andiamo via. Ormai è tardi. Dobbiamo cenare e poi subito a letto>>. Di lei Ottavio non ha mai capito bene, se fosse una vedova o una ragazza madre. Subito dopo i due giovani uscirono dalla loro tana con un sospiro di sollievo e dopo aver salutato Rosa (non si sa se Tonino le aveva fissato un appuntamento) scapparono via. Arrivò la sera successiva. Per ingannare l’attesa, Ottavio si intruppò nel passeggio serale in piazza. Passò una mezz’oretta e poi vide Tetella affacciarsi da una traversa. Era sola. Aveva una maglia a fantasia a girocollo sopra una gonna a fascia di tipo scozzese. Viso limpido e capelli quasi biondi inanellati. La caratterizzazione invece era costituita da due stivaletti a mezza gamba di pelle che davano ulteriore slancio al suo corpo magro. Seno crescente e ben disegnato. Si diedero l’intesa e, dopo aver concluso l’ennesimo ‘solco’ , Ottavio, salutati gli amici, raggiunse l’Arco, quasi in contemporanea alla sua nuova fidanzata. Salirono di corsa e si appartarono in un angolo del disabitato pianerottolo. E giù baci a bizzeffe e strette di tutto. Concluso il petting, i due si lasciarono in silenzio, forse prevedendo che non si sarebbero più rivisti e che l’incontro era solo un’avventura per soddisfare la vanagloria di maschio di lui e nel contempo per aiutare lei a crescere. É così fu. Dopo altri fidanzamenti volanti, ella sposò un suo coetaneo e futuro amico, che la rese felice e prolifica.
Giornalista, scrittore e storico. Ha al suo attivo una cinquantina di pubblicazioni su tradizione, archeologia e storia locale.