Torna il Carnevale a scuola, a San Giovanni Rotondo. Precisamente all’I.C. “Dante – Galiani”, diretto da Francesco Pio D’Amore.
Tutto questo, grazie ad insegnanti preparati ed amanti delle tradizioni, come Arcangela Latiano, da decenni impegnanti su questo fronte, assieme ad altre colleghe, non di meno culturalmente attrezzate (Francesca De Cicco, Antonietta Del Popolo, Alessandra Gatta, Nunziata Martino, Rossella Martino, Nunzia Scaramuzzi e Giuliana Zelante). Lo dimostrano con le loro variegate sperimentazioni didattico – scientifiche. Non ultima, la recita di poesie dialettali ‘cantata e sonata’ svoltasi lo scorso anno con l’intervento magistrale di un docente – animatore – nato e prolifico scrittore, come Angelo Capozzi, foggiano di nascita, ma sangiovannese di adozione da vari decenni. Questa volta, lo spettacolo teatrale sul tema sarà in scena, martedì 18, ore 17.00, presso l’ex-chiesa di Santa Maria Maddalena, ubicata a “Lu Larije delli monache”nel cuore ‘vivo della città di Padre Pio. I protagonisti sono attori in erba, ossia gli alunni della classe 2^ E. Il tutto lo si evince nell’artistica ed espressiva locandina, diffusa anche come invito in ogni dove. Perché il Carnevale?. Ci ha risposto come un fiume in piena, la stessa Latiano, coordinatrice dell’iniziativa odierna. Secondo il suo dire, qui un tempo il Carnevale era motivo di festa e aggregazione collettiva. Oggi, non più, per via della mancata istituzionalizzazione della festa e l’avvento della comunicazione di massa, come la TV e, nei tempi in corso, i Telefonini , Web e tablet, che hanno distrutto totalmente ogni riferimento al passato, con la conseguente perdita della memoria storica. Negli anni ’60 e ’70 , interi quartieri, comitive di amici o singole persone contribuivano nella realizzazione di abiti, addobbi e coreografie che avrebbero allietato la piazza durante i tre giorni finali della festa. Questi ultimi, annunciati, a partire dal giorno di Santantune (S.Antonio Abate) ‘Masckere e sune’, da una serie di festosi ‘giovedì’, allorché si formavano i gruppi e si divertivano con balli in casa dell’amico di turno. Balli, di solito tenuti per la povertà di spazi su la ‘basulate’ (il terrazzo), se c’era bel tempo o in un ‘sottano’ riscaldato dal braciere a carbone, in caso di freddo o di pioggia. Il giradischi non mancava mai, prima a 78 giri e successivamente, con l’avvento della tipica’valigia’, a 45 giri. Tutti si mascheravano, grandi e piccini. Spesso volte l’evento diventava occasione di vendette e chi ci capitava non sfuggiva alle bastonate. Per cui i più piccoli avevano paura e in gruppi giravano per le case di amici e parenti, intrattenendosi a cantare qualche canzoncina in dialetto piuttosto dispettosa, come “Se nen ce dà lu vine, ce ne jame crà ‘mmatina” (se non ci dai il vino, ce ne andiamo domani mattina) e via discorrendo. Altre volte si inscenavano in piazza dialoghi e scene teatrali, per lo più ispirate ai mestieri antichi e alle vicende importanti della vita (matrimonio, fidanzamenti, nascite, ecc.) oppure a personaggi della cosiddetta letteratura popolare, come Genoveffa, la cieca di Sorrento, Giulietta e Romeo, ecc. Non mancavano le maschere tipiche del posto, quali Lu Carlucce, la Muntanara, lu Sckavone, la Pacchianella, lu Pastore, lu Zite e la Zita, lu Cafone (personaggio del recital odierno), lu Cuzze, li Bannarinule, ecc. Il tutto finiva con la morte del Carnevale e il tipico funerale “Carnevale pecchè se murte, la ‘nsalata tenéve all’urte”, ecc. Se ne saprà di più, partecipando allo spettacolo in parola che stando alle premesse, divertirà tutti. Buona visione!.
Giornalista, scrittore e storico. Ha al suo attivo una cinquantina di pubblicazioni su tradizione, archeologia e storia locale.