Nella prima metà del ‘900 a segnare in modo originale ed incisivo l’economia agricola e la storia culturale si Rignano sicuramente è Giuseppe Matteo Ricci (1874 – 1947). Ecco i fatti salienti della sua ricca ed originale biografia. È il primo di cinque figli di Pasquale e di Maria Giuseppa Checchia di San Severo. Seguono in ordine di età: Teresa (1883 -1951), Pietro (1885-1965; Vincenzo e Leontina (1885-1960). Pasquale è sindaco di Rignano dal 1878 al 1860; Vincenzo dal 1920 al 1926 ed è podestà dal 1926 al 1928 .Teresa col nome di Geltrude è suora delle Figlie di Carità e riveste tutti i gradi dell’Ordine sino a diventare Madre Generale.
L’anzidetto possidente Il 9-11-1902 sposa Angela Ricci, mettendo al mondo l’anno seguente l’unica figlia, Giuseppina o Pina. Donna, quest’ultima, assai in gamba, nonché bella ed elegante al di sopra di ogni sospetto tanto che farà innamorare perdutamente di sé due uomini, ma al termine sceglierà Gianpietro Ricci, bello, dinamico ed empatico che gli darà tanti figli. La famiglia abiterà nel centralissimo Palazzo di Via Chiesa n. 1, dirimpettaio della rinascimentale Chiesa Matrice dell’ Assunta.
Dopo le elementari in paese, frequenta le medie e le superiori in collegio. Dopo di che si iscrive all’Università di Pisa, laureandosi in Agraria nel 1900. Ritornato in paese si butta a capofitto nel sociale e nel lavoro dei campi, facendosi rispettare da ogni strato della popolazione. In breve diventa l’uomo più bravo e potente della cittadina. Da lui si va per consigli di ogni genere e soprattutto per la soluzione di problemi di carattere economico e vitale.
Oltre ad introdurre metodi innovativi in agricoltura, egli si interessa di cultura, in particolare di Archeologia. Negli anni 1930 dopo aver scoperto casualmente dei resti romani nella sua tenuta di Curtopasso, chiede ed ottiene l’intervento di Quintino Quagliati Sovrintendente dei Musei Archeologici di Puglia.
Alla presenza dell’anzidetto professore, scavando, vengono alla luce uno stiletto d’osso, con il quale i Romani incidevano le lettere sulle tavolette cerate ed un oggetto di creta appiattito da una parte ed appuntito dall’altro , che servivano ai Romani per spalmare la cera sulle tavolette. Si trovano altresì resti di anfore , di vasi ben lavorati, di lucerne; resti umani e di animali, carboni ed una serie di pietre nere pesanti che secondo un cugino dello stesso, docente all’Università di Roma, trattasi di pietre laviche provenienti dal vulcano spento del Vulture.
Altresì, passamdo con il calesse dalla masseria di Zezza dei fratelli Piccirlla, il Quagliati avrebbe inquadrato in zona un antico accampamento romano. Gli scavi nella tenuta di Curtopasso promettevano bene, e sia il Ricci che il professore si aspettavano sviluppi clamorosi. Ma il 29 dicembre dello stesso anno il Quagliati viene meno colpito da febbre malarica e dopo qualche anno non si parla più di scavi ed approfondimenti ma di coltura, tant’è che si ritorna da subito a riseminare., con somma delusione dello stesso sindaco del momento, Antonio Cappelli, uomo di scuola, di istituzioni e di cultura per antonomasia e degli anzidetti ritrovamenti non si parlò più tant’è che il tempo ne ha cancellato persino la memoria dei luoghi.
Giornalista, scrittore e storico. Ha al suo attivo una cinquantina di pubblicazioni su tradizione, archeologia e storia locale.