Sarà presto in vetrina il volume “Ritratto del giovane Ottavio / Racconti garganici” con prefazione di Sergio D’Amaro. Si tratta di una raccolta di racconti ispirati a storie vere vissute dall’autore ed ambientate negli anni che vanno dalla seconda metà degli anni 50 agli inizi degli ’80.
Tra l’altro, in esso si parla dei luoghi cari agli innamorati, dove, potersi scambiare, lontani dagli occhi indiscreti, qualche bacio o altra effusione amorosa. Erano tempi in cui l’auto era appannaggio ed uso solo di pochi benestanti. Gli anzidetti ‘rifugi’ sentimentali erano quasi tutti ubicati nel centro storico medievale o nell’estrema periferia del paese. Si chiamavano: “La Rotte”, “Zia Monica”, La Ripa, “Bisacciare”, “Scannaggie”, “Varrèdde”, ecc. Tuttavia, quello più frequentato e preferito per via del suo romantico fascino, era la “strettola”. La stessa è ubicata nel cuore del centro storico. Uno stretto cunicolo, quest’ultimo, che unisce due zone storiche del paese, Via Padre Antonio Maria Fania a Via Carmine. Secondo un’antica leggenda, tutto quanto qui gli innamorati si promettono “a suon di baci”il giorno di San Valentino va a buon fine, cioè si conclude con un felice matrimonio. Eccone un racconto – testimonianza. Durante un 14 febbraio freddo e povero come non mai di tanti anni fa, accade in una realtà povera, resa ancora più misera dagli effetti economici e sociali legati alla seconda guerra mondiale, un qualcosa di “miracoloso” nell’anzidetto vicolo dei baci (all’epoca non ancora si conosceva la festa di San Valentino). Evento che vede protagonisti due innamorati del posto, Michele e Rocchina, passati a far l’amore da queste parti e fermamente intenzionati a comunicare ai rispettivi genitori di voler convolare a nozze, per poi emigrare in America. Viste le misere condizioni delle famiglie, il rifiuto da parte dei genitori è praticamente totale. Non ci sono soldi per il matrimonio, figuriamoci per la loro partenza per la terra di Colombo. I due invocano la Madonna del Carmine perché li aiuti ad esaudire il loro più grande desiderio, quello di lavorare e di metter su famiglia. Come fare? Si invoca pure San Rocco e la Madonna di Cristo, perché intercedano per la risoluzione del loro problema. Michele è un bravo bracciante agricolo. Nei periodi caldi scende a piedi o a dorso d’asino, lungo le mulattiere di montagna, fin giù a Villanova. La strada preferita è quella per Marcivico. Alla “pugghja” (in campagna) lavora come un mulo. Sgobba per ore ed ore nel tentativo di racimolare qualcosa. Mangia pane e pane e beve acqua quanto basta. A febbraio, tuttavia, non c’è nulla da fare nei campi. Se ne sta quindi in paese in cerca di qualche lavoretto da svolgere. Anche in paese non c’è molto da fare. La moneta circola poco e la fatica spesso e volentieri viene barattata con frutti della terra, con sckanate (pagnotte) di pane, un po’ d’olio e qualche pezzotta di formaggio. Rocchina lavora e fa di maglia. Cucina, ricama e sogna il giorno delle nozze, i suoi tre figli che avrebbe chiamato Carmelo, Rocco e Maria. Anche la “mammaranne” Nunzine (nonna Nunzia) cerca di aiutarla. Lei è l’unica donna della famiglia. I tre fratelli, tutti ammogliati, hanno ben altro da fare che pensare al matrimonio di Rocchina. Pure loro hanno una famiglia sulle spalle e tanto da sgobbare per dar da mangiare a mogli e figli. Michele, dal 2 febbraio, ha iniziato un nuovo mestiere. Ripara sedie, cesti e canestri per conto di un anziano artigiano del paese. Non si guadagna molto, anche perché ormai la gente si sta man mano abituando ad uno stile di vita più moderno e più consumistico. Mastre Pètre (mastro Pietro), il vecchio artigiano, lo ripagava a pezzotte di cacio, che poi Michele provvedeva a rivendere al miglior offerente. Arriva il 14 febbraio. Michelino decide di chiedere la mano di Rocchina a cumpare Savérje (compare Saverio, il papà della nostra protagonista). A malincuore l’anziano genitore risponde che non è possibile, occorre che Michele trovi un lavoro più stabile e redditizio. Rocchina scoppia subito in lacrime e scappa via “Mio cugino dall’America mi ha inviato la richiesta d’ingaggio – dice il ragazzo, sconfortato dal diniego di cumpare Savérje, mi basta trovare i soldi per salpare da Napoli e andare fin laggiù a far fortuna”. Il vecchio risponde ancora una volta negativamente. Così Michele va via e di corsa raggiunge Rocchina che, ancora piangente, lo attende al “vicolo dei baci”. “Rocchì non ti preoccupare – gli dice l’innamorato – prima o poi qualcosa deve pur accadere…“. È allora che accade qualcosa di inimmaginabile e che rende questa vicenda ricca di mistero e simile più ad una favola. Infatti, mentre stanno amoreggiando, Rocchina pesta un sacchetto malconcio e unto da anni e anni di utilizzo e apri e chiudi. Lo raccoglie e, con sommo stupore dei due, fuoriescono dall’involucro una serie impressionante di banconote. Sono tanti quei soldi, più che sufficienti per partire in America. Il loro sogno d’amore sta per esaudirsi. Nonostante ciò, decidono di consegnare il malloppo a Don Matteo (uno dei preti del paese), perché ritrovi il legittimo proprietario. Passano mesi e mesi. Entrambi continuano a lavorare e a mettere da parte centesimo dopo centesimo la somma indispensabile per il viaggio oltre oceano. Il 30 gennaio accade un altro evento che nessuno si aspetta. Bussa alla porta di cumpare Franciske ( il papà di Michele) un sacerdote. “Sono Don Luigi, il nuovo prete – dice l’esile figuro – mi manda Don Matteo. Vi ricordate quella sacca piena di banconote? Non è stata mai richiesta da nessuno. Potete tenervela. E’ vostra”. È così che Michele e Rocchina convolano a nozze di lì a pochi giorni. Il 14 febbraio del 1956 partono per Napoli, dove una nave di lì a poco tempo porterà loro e tanti altri disperati in cerca di fortuna nella terra della speranza. Qui i nostri due protagonisti, dopo anni passati a sgobbare e a spaccarsi la schiera nei campi di patate e a riscaldarsi alla meno peggio nella loro lurida catapecchia di legno e buatta, mettono su famiglia. Pian piano trasformano la loro baracca in una nuova abitazione in muratura, piena di ogni conforto. Non fanno più ritorno a Rignano. Oggi riposano a Little Italy, nella parte di camposanto riservata agli italiani. Hanno tre figli, Carmelo, Rocco e Maria”.
Giornalista, scrittore e storico. Ha al suo attivo una cinquantina di pubblicazioni su tradizione, archeologia e storia locale.