La prima volta che provò qualcosa per lei, accadde durante uno dei soliti balli in casa altrui. L’organizzazione di essi s’accompagnava di solito ad un compleanno, onomastico, battesimo, cresima e quant’altro. Il più delle volte ad organizzare la serata era, invece, il figlio o la figlia dei padroni di casa.
Lo faceva per favorire la nascita o la morte di un amore, che per quell’età si aggirava mediamente su una settimana, se non di meno. La voce arrivò pure ad Ottavio che da subito si unì con gli altri compagni di baldoria e all’ora stabilita si ritrovarono in casa di Marina, un bilocale a piano terra di recente costruzione, ubicato a mezza strada tra i fabbricati del primo – Novecento e quelli della nuova zona di espansione edilizia, il cui sviluppo vertiginoso, prima a pietra e poi a tufi e a blocchi di cemento, cambierà in pochi anni l’intero aspetto del paese. Fu proprio il capo-famiglia a realizzarla, mettendo a frutto la sua annosa esperienza di maestro muratore. La festa ebbe inizio nella stanza più grande, dove in un angolo era sistemato un giradischi nuovo di zecca che suonava Only You dei The Platters, uno dei primi lenti americani che a noi piaceva tanto., chiamato a contrastare l’annosa Cumparsita, il noto tango che piaceva ai nostri padri e nonni. Fu proprio questo disco a far nascere l’amore vero tra Ottavio ed Evelina. Lui la invitò e lei subito le corse incontro, poggiando le mani a giro collo; parimenti l’altro, tirandola a sé stringeva la vita snella di lei, sedicenne. Aveva da poco terminate le scuole medie e stava in attesa del dà farsi. Musica e ritmo inebriarono l’uno e l’altra per tutta la corsa del disco. Poi sedettero su una delle sedie che circondavano le pareti della stanza e rimasero zitti a guardarsi. Dopo alcuni giri e rigiri di altri ritmi, su richiesta generale tornò di nuovo ad emettere la sua dolce e struggente melodia “Only You”. Ripresero il giro con più calore e stringimento. Dopo qualche minuto, lei gli bisbigliò all’orecchio: “Fermati…fermati!”, affondandogli inconsapevolmente le unghie sulla schiena. Lui ubbidì, ritmando sullo stesso posto. Posizione, quest’ultima, che ispirerà poco tempo dopo il famoso ballo del mattone di Rita Pavone. La partner borbottò incomprensibili parole, nel tentativo di reprimere tutto ciò che provava in corpo. Il primo orgasmo? Chissà. A quel tempo né lui, né lei ne sapevano. Finito il ballo ‘malandrino’, lei si mise a sedere, raffreddandosi man mano, mentre lui le balbettava: “Che hai… che hai..!”. Fino a quando lei disse: “Sì, si’”. E si fidanzarono. Gli appuntamenti in paese si susseguirono quasi a ritmo quotidiano, ora qui ora là nei luoghi appartati e fuori dalla vista del prossimo. Una volta, l’interessata, accompagnata da una giovane parente, raggiunse il suo uomo al Belvedere, là dove le case sono ammassate su un contrafforte roccioso. Si nascosero in una delle tante insenature e si misero a fare petting, mentre fuori aleggiava un’aria umida di imminente pioggia. Di questa evenienza , però, non si curarono, perché entrambi indossavano per la bisogna un parapioggia di colore bleu scuro. Erano passate appena una diecina di minuti, quando avvertirono dall’alto il tipico rumore di apertura di una finestra e una voce maschile che diceva: “ Chi siete? Fatevi vedere, altrimenti butto giù un secchio d’acqua sporca!”. Si bloccarono e zittirono, rintanandosi ulteriormente dentro l’anfratto. All’improvviso videro scendere dal di sopra delle loro teste un fiume di acqua puzzolente che andò a sbattere per terra fuori misura. Per cui rimasero del tutto illesi. La finestra si rinchiuse di colpo. Lui intuì e disse: “Vuoi vedere che quello scende giù per accertarsi di persona chi siamo?”. Ella al sol pensiero tremava di paura, perché l’individuo era ritenuto un incallito guardone. Per scongiurare l’incontro con lo scocciatore c’era due uscite, l’una da dove erano venuti e l’altra al contrario. Quest’ultima era la più vicina alla casa di sopra. La scartammo subito e raggiungemmo il pizzo dell’orto salvi. Mentre l’altro, raggiunto il luogo del delitto, in questo caso d’amore, non trovando nessuno se ne ritornò indietro con le pive nel sacco Alcuni mesi dopo, Evelina partì per il collegio a frequentare il corso professionale per infermieri, diretto ed assistito dalle suore. La sera prima si videro al solito Arco della Monaca. Dopo il petting si riabbracciarono e si salutarono con un quasi addio, convinti più che mai che tre anni di studio avrebbero mandato tutto all’aria. Qualche volta, si rividero in collegio e scambiandosi qualche bacio in ascensore con il consenso della suora si promisero eterno amore. Finito il corso, dopo qualche mese di vacanza presso una parente, da tempo sposata e residente in un paese marino, lei fu chiamata per il primo impiego addirittura nella capitale. Intanto, Ottavio si era iscritto all’Università a fare Lettere indirizzo moderno, perché a lui piaceva tantissimo la letteratura ‘gialla’, nata sulle orme del verismo verghiano, come insisteva ad affermare un valente docente del Liceo Classico, frequentato in precedenza da Ottavio. Per alcuni mesi durò il silenzio completo, per difficoltà telefoniche. A quel tempo, nessuno aveva il telefono in casa e il tutto funzionava tramite centralino, dove era assolutamente vietato parlare di amore, perché i colloqui venivano puntualmente seguiti, volenti o nolenti, dalle centraliniste di turno. Anche il rapporto epistolare fu piuttosto scarso, perché la corrispondenza di lei veniva controllata in andata ed arrivo dalle suore. Ed anche perché il rapporto di fidanzamento non era ufficiale ossia non era risaputo e condiviso dalle rispettive famiglie. Si scambiarono alcune lettere con foto reciproche. Su una di esse, Lei appare, vestita in divisa, fresca come una rosa, con il suo viso paffutello, di giovane a primo pelo, per modo di dire. Non si sa se lei ne ha qualcuna di lui. Ma ora continuiamo la storia. Un paio di volte, Ottavio, stanco della corrispondenza cartacea, l’andò a cercare e a trovare a sorpresa sul posto di lavoro, ossia presso uno storico Ospedale della Capitale. Lei si fece trovare all’uscita e così per un giorno intero stettero insieme, facendo petting nei vari posti d’occasione, compreso qualche scompartimento di un treno parcheggiato nella Stazione Termini. Si volevano un mondo di bene e sognavano una vita insieme, non appena sistemati. Dopo un anno, si presentò l’occasione propizia e nel contempo infausta perché condizionerà per sempre nel bene e nel male il loro rapporto. Alla fine degli anni 60’, l’Ospedale nuovo che stava mettendo piede nella zona Sud Ovest del Capoluogo aveva un’assoluta urgenza di personale. Perorò la causa presso il professore Caio una comune amica operatrice sanitaria ex-Inam. Nel giro di qualche mese, le fu accordato il trasferimento e prese immediatamente servizio, presso l’anzidetta struttura in corso di costruzione e dotazione di altri reparti. Sarà ufficialmente inaugurato alcuni anni dopo. Lei e la famiglia si stabilirono in un alloggio preso in fitto nell’antico quartiere popolare. Intanto, la coppia era stata riconosciuta e santificata da entrambi i casati. Per cui i fidanzati si poterono frequentare regolarmente. Nei primi tempi, Ottavio, accompagnato quasi sempre dal futuro cognato, si recava al Capoluogo con la sua auto sportiva, assai in voga ed apprezzata a quei tempi dal pubblico giovanile. Si vedevano ogni giorno. In casa si poteva solo parlare del più e del meno, mai baci e strette di mano., tranne nella scalinata, mentre lui andava via e lei la seguiva sino all’uscio. Pertanto, il desiderio del petting rimaneva fisso e frustato. Solo quando il padre era impegnato in campagna o in paese, dove la famiglia aveva casa fissa, la madre che era alquanto remissiva, concedeva loro di tanto in tanto il permesso di uscire. In un attimo si trovavano fuori e saliti di corsa in auto si allontanavano presto dal luogo casalingo, da lui definito fin dal primo momento, una vera e propria prigione. Talvolta, era lei a scendere dall’alloggio, sollecitata dal rumore amico dell’auto. Un bacio volante e poi via verso il luogo d’appuntamento. Di solito, il posto lo si trovava fuori dall’abitato nei pressi del Camposanto. Qui, protetti dal silenzio tombale e dal gracchiare dei gufi che per loro era musica amica, si mettevano a loro agio, distendendo il sedile pieghevole. E così facevano petting per tutta la serata o meglio sino a tarda ora. Dopo di che, lui, felice, contento e soprattutto soddisfatto la riaccompagnava a casa. Quindi, ritornava in paese. , talvolta trascinandosi dietro il compagno di ventura che, invece, era rimasto lì ad amoreggiare alla meglio con la sorella di lei. Rapporto – sentimento, quest’ultimo, che di lì a qualche anno sarà suggellato dal matrimonio e dalla nascita del primo figlio. Sempre in zona, il luogo dell’appuntamento variava di volta in volta. E questo per evitare di essere seguiti o scoperti da qualche male intenzionato. Bastava il passaggio di un auto o l’illuminazione vicina o lontana di essa per bloccarsi. Si tiravamo giù, prima di procedere oltre. Una sera finito il rapporto, Ottavio, girò le chiavi di messa in moto dell’auto, ma niente. Dopo varie prove e riprove, il motorino di avviamento arrancò e poi si bloccò del tutto. Lei tremava al solo pensiero di rientrare tardi a casa. Aveva avuto il permesso di appena una mezzoretta ed erano volate via quasi due ore. E questo, senza calcolare il tempo occorrente per l’eventuale percorso a piedi, dato che il luogo preposto era a considerevole distanza dalla città. Lui, esaurito ogni discorso consolatorio, ad un certo punto zittì del tutto, col pensiero impegnato nella ricerca affannosa di un qualche espediente risolutivo, mentre lei, piegata su se stessa, si sfogava col pianto, dapprima tenue e poi a dirotto. Deciso ormai a scendere dall’auto e a tornare, l’uomo di gettito rimise le chiavi nella toppa, per un ultimo tentativo. All’improvviso l’auto dapprima sbruffò a vuoto, emettendo fumo nero dallo scappamento e poi emise il tipico rombo di sempre, facendo un balzo in avanti. Quindi, a velocità sostenuta, per il timore di un altro blocco, raggiunsero l’abitazione di lei, che fu felice quando i genitori l’accolsero con ripetuti rimbrotti. Le volte successive, badarono bene di parcheggiare l’auto in discesa sino a quando non si rimediò una batteria nuova. In una delle tante serate passate all’ombra del cimitero, accadde un altro fatto increscioso e nel contempo piacevole. Durante il petting, lei ad un tratto, casualmente irrorata, esclamò: “Ah, disgraziato, mi hai quasi messa incinta!”. Ma non lo fu, né lo poteva essere per davvero. Altrimenti, sarebbe diventata lei la donna del suo destino. Comunque sia, a quel tempo, i due giovani pensavano al matrimonio e si facevano anche dei regali impegnativi. Una volta lui, rimediata una bella sommetta (ovviamente raccolta in famiglia, in quanto non lavorava ) pensò bene di portarla in centro a guardare le vetrine per l’acquisto di qualche abito, femminile. Lo trovarono subito alla boutique di firma. In vetrina c’era un bel cappotto di colore verde marcio alla moda. Piacque subito ad entrambi. Entrarono e lei lo provò. Le stava a pennello e il colore s’intonava bene con i suoi capelli biondi e la carnagione rosea. Il giovane cacciò i soldi e fu acquistato seduta stante. Tanto a significare che chi ha gusto e l’occhio fino le cose belle colpiscono a prima vista. Siamo ai primi di dicembre. Il sabato mattina successivo, giornata di riposo per lei, l’abito fu indossato. Che fosse bello, se ne accorsero subito dagli occhi dei passanti, specie se giovani, che la guardavano con ammirazione, non si sa bene se fosse l’abito a fare il monaco o viceversa. Lei di tanto intanto arrossiva ed emetteva una sorta di falsa tosse. Lui, invece, tirava diritto, forse provando dentro di sé un po’ di gelosia. Imboccarono la via della Cattedrale, la sorpassarono e giunsero al mercato coperto. Da qui abbordarono la stradina di uscita. Apriti cielo! Fu lì che all’improvviso un pezzo di piede di porco ancora sanguinante piovve sul cappotto di lei. Era stato lanciato per scherzo dal macellaio contro il negoziante dirimpettaio. Entrambi sostavano sull’uscio in attesa di clienti. La ragazza emise un grido, schifata e inorridita verso quel coso che in un lampo aveva sporcato il suo abito nuovo. Raggiunta pochi minuti dopo l’abitazione, il malcapitato indumento fu sottoposto ad attenta visita da parte degli occhi ispettrici della madre e della sorella. Trattandosi di liquido organico, la macchia fu subito asportata con acqua pura e il cappotto tornò integro com’era prima Tutti tirarono un respiro di sollievo. Nei giorni e mesi successivi, per andare in centro, non presero più la scorciatoia incriminata. Passarono mesi, anzi più di qualche anno dall’arrivo nel Capoluogo della ragazza. Il rapporto tra le famiglie si fece più intenso. L’uno ospitava l’altra e viceversa. Ma il diavolo è sempre in agguato, specie quando le cose vanno bene ed è pronto a scagliarsi in ogni evenienza per modificare in peggio il destino della gente. Una sera, quando lei era ancora al lavoro quotidiano, il papà chiamò in disparte il giovane e disse: “giovinò, datti da fare, trovati un posto, perché dobbiamo combinare subito il matrimonio! Mia figlia lavora e non può frequentare uno spiantato a tempo perso come te”. L’uomo era uno pratico e non badava a spese, quando doveva affrontare un discorso serio sulla vita. Faceva il curatolo tutto fare presso un signore ricco del posto. Tutti correvano da lui per consigli. Ottavio si raggelò di colpo e non rispose: Le parole dell’altro l’ avevano profondamente colpito come se fossero dei grossi macigni. Quando si videro con la figlia, però, sbottò: “Come può tuo padre obbligarmi a lasciare gli studi e a trovare lavoro? Ciò mi destinerebbe per sempre alla mediocrità!” Lei, con il tono di voce tra l’addolorato e il faceto, gli rispose con gesti gentili: “Orsù, mio padre, come altronde fa ogni genitore non s’interroga sui sentimenti, ma guarda all’interesse concreto del congiunto, ossia al bene materiale. Vedrai che cambierà presto opinione, valutando il bene-laurea”. Poi, per ammansirlo ulteriormente, gli diede un forte bacio. E tirarono avanti, come se nulla fosse accaduto. Parimenti nei giorni e nelle settimane successive. Tuttavia, l’opinione paterna anziché allentarsi con il tempo e la riflessione, si acuì a dismisura. A malapena rispondeva al saluto di lui, nonostante intervenisse la figlia con parole buone dirette a stemperare gli animi. Insomma Evelina, trovandosi tra l’incudine e il martello, per mesi e mesi, cercò di difendere il suo amore. Ma ad un certo punto, non resistette più di vedere addolorato or l’uno or l’altro, mentre lui continuava ad incalzarla: “Come può tuo padre impicciarsi dei fatti miei, quando in giro ci sono tanti giovani che ora per un motivo, ora per un altro, non riescono a laurearsi, nonostante anni ed anni di iscrizione e frequenza universitaria?”. Fu a questo punto che lei all’insicuro amore preferì la solidità degli affetti del sangue. E il fidanzamento si ruppe. Nei primi tempi Ottavio non patì alcun contraccolpo, anche perché, sulla scia dell’esperienza passata tentava di dimenticare, frequentando feste in paese e flirtando or con l’una o con l’altra fiamma, ma senza scottarsi. Così facendo, più in là si accorse di amare per davvero Evelina. La sua immagine l’accompagnava in ogni dove e momento. Pertanto, sfidò la lontananza, e quando non ne poteva più, si avviava con la sua auto alla volta della città e poi ad attraversare col rombo in canna su e giù la strada dove era domiciliata l’amata. Lo faceva ovviamente quando era sicura che lei aveva smesso il lavoro e si trovava in casa. La ragazza, a sua volta, consapevolmente si tenne lontana da ogni approccio, quasi che avesse trovato per davvero un sostituto. Una sera l’attese in macchina sotto il luogo di lavoro. Con somma meraviglia Ottavio ad un tratto la vide infilarsi in un’ auto parcheggiata poco prima della sua, che si avviò subito. Erano in due. Si mise alle loro costole, sospinto da un attacco di irrefrenabile gelosia e la seguì per un lungo tratto sino a quanto l’automezzo non si disperse tra il traffico. Dunque, si era trovato un altro uomo. Le promesse fatte in anni prima saltuari incontri e poi ripetuti a cadenza pressoché quotidiana volarono via dalla sua mente. Soffri tantissimo, forse per anni, ma poi, dopo una serie di altre avventure e disavventure, finalmente mise la testa “ a Saverio” , come si dice in gergo, e trovò la donna del destino, che sposò in fretta, per averla messa incinta del suo primo figlio. Intanto, vinto un pubblico concorso si era sistemato, ricevendo per la sua professione di animatore culturale uno stipendio da laureato. Al contrario Evelina, in virtù della dantesca legge del contrappasso, troverà e sposerà l’uomo del destino solo parecchi anni dopo. Felicità! Chissà s’è stata raggiunta. Solo Dio lo sa!
Giornalista, scrittore e storico. Ha al suo attivo una cinquantina di pubblicazioni su tradizione, archeologia e storia locale.